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16 marzo 2015

Automata e il ritorno di Banderas, dalle galline agli automi


Finalmente Antonio Banderas ha smesso di parlare con le galline. Dopo aver abbandonato Rosita, il bel Mulino Bianco e le brioche immerse nella Nutella, in Automata il nostro mugnaio si trova gettato in metropoli claustrofobiche, uggiose ed eternamente coperte da una fitta e artificiale coltre di nuvole; il tutto per proteggere l’umanità sopravvissuta alla catastrofe dalle radiazioni solari.

Anche se i cliché della fantascienza post apocalittica ci sono tutti, dalla caccia all’androide “difettoso” alle irremovibili leggi di Asimov in versione sintetica, il film raggiunge qualche interessante tocco di originalità: il protagonista, Jacq Vaucan, agente assicurativo per la Roc Robotics Corporation, ad esempio, è combattuto tra la ricerca della verità, tra la risoluzione del caso che lo ossessiona e la famiglia, la figlia che gli sta per nascere.

L’ambientazione è quella della città fortificata, difesa da alte mura, utili a tenere il mondo civilizzato della megalopoli separato dalle baraccopoli del ghetto e dal deserto che avanza, una distesa senza vita, radioattiva e fatale. I robot sono ormai una realtà quotidiana e, costruiti con la speranza di bonificare le aree avvelenate, falliranno, riducendosi a semplici operai, disprezzati dai loro padroni umani.

Tutti gli automi devono rispettare due direttive immodificabili: non  fare del male agli esseri umani e non modificare se stessi. Anche se alla base del secondo dogma sembra esserci una ragione molto prosastica (se i robot potessero ripararsi da soli, la società che li produce perderebbe miliardi), si scoprirà come il fatto di modificarsi implichi per la macchina (come per l’uomo) la possibilità anche di migliorarsi e quindi di evolvere, sopraffacendo, potenzialmente, l’ormai apatica razza umana.


È proprio la scoperta di un robot in grado di modificarsi autonomamente, la molla che dà l’avvio alla storia di Automata: l’agente assicurativo Vaucan cercherà con tutte le sue forze chi è stato in grado di modificare il robot permettendogli di eludere la seconda direttiva, scoprendo che dietro al responsabile si nasconde qualcosa di ben più inquietante.

Come al solito le mie recensioni, se così possono essere definite, sono più che altro riflessioni, a volte vaneggiamenti. Di tutto il film, infatti, è il rapporto tra uomo e macchina, tra uomo e Umanità, a consentirci, ben oltre la trama, i pensieri più interessanti:

L’avanzata delle mortali e venefiche immensità desertiche riduce sempre di più lo spazio vitale per gli uomini, aumentando quello in cui le macchine possono invece sopravvivere. I robot, tuttavia, non entrano in conflitto diretto con gli uomini, anzi. Essi fuggono dalle città umane, si addentrano in quegli spazi mortiferi in cui, semplicemente, essi possono trovare un domani migliore, il proprio diritto alla vita e ai sentimenti.

Se l’umanità ha smesso di migliorarsi, di evolvere, di cercare di adattarsi a un ambiente in mutamento non può che soccombere; sarà un’altra forma di vita più adatta a quegli ambienti estremi ad emergere. Il senso del film però è ben più sottile; o perlomeno lo è nella testa di chi come me ama tanto fare le “seghe alle formiche” (scusate la caduta di stile).

Gli eventi della pellicola, che sembrano a tutti gli effetti una dimostrazione del principio dell’evoluzione, non si riducono però alla semplice vittoria del più forte o del più adatto. Alla fine, pur in una forma di intelligenza artificiale, è la natura umana nel suo senso più alto a trionfare: sono la solidarietà e il mutuo soccorso, la capacità di superare le avversità, di combattere per un futuro migliore a vincere.

Quando l’Uomo ha perso se stesso, si è arreso a un mondo ostile, ovvero ha perso la capacità di farsi demiurgo della realtà, di modificare il mondo con le proprie mani e la propria intelligenza, sarà un’altra forma di vita, l’intelligenza artificiale, a esprimere la vera essenza dell’umano, il lato migliore di noi.

Insomma, in Automata, le macchine sono più umane degli uomini: si sacrificano l’una per le altre, si aiutano, lottano per un futuro migliore. I robot, tuttavia, nella lotta per la sopravvivenza, contrariamente agli uomini, non vengono mai meno alla prima fondamentale direttiva: “non uccidere”.

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