Finalmente Antonio Banderas ha smesso di parlare con le
galline. Dopo aver abbandonato Rosita, il bel Mulino Bianco e le brioche immerse
nella Nutella, in Automata il nostro mugnaio si trova gettato in metropoli claustrofobiche,
uggiose ed eternamente coperte da una fitta e artificiale coltre di nuvole; il tutto per proteggere l’umanità sopravvissuta alla catastrofe dalle radiazioni solari.
Anche se i cliché della fantascienza post apocalittica ci
sono tutti, dalla caccia all’androide “difettoso” alle irremovibili leggi di
Asimov in versione sintetica, il film raggiunge qualche interessante tocco di
originalità: il protagonista, Jacq Vaucan, agente assicurativo per la Roc
Robotics Corporation, ad esempio, è combattuto tra la ricerca della
verità, tra la risoluzione del caso che lo ossessiona e la famiglia, la figlia
che gli sta per nascere.
L’ambientazione è quella della città fortificata, difesa da
alte mura, utili a tenere il mondo civilizzato della megalopoli separato dalle
baraccopoli del ghetto e dal deserto che avanza, una distesa senza vita,
radioattiva e fatale. I robot sono ormai una realtà quotidiana e, costruiti con
la speranza di bonificare le aree avvelenate, falliranno, riducendosi a
semplici operai, disprezzati dai loro padroni umani.
Tutti gli automi devono rispettare due direttive
immodificabili: non fare del male agli
esseri umani e non modificare se stessi. Anche se alla base del secondo dogma
sembra esserci una ragione molto prosastica (se i robot potessero ripararsi da
soli, la società che li produce perderebbe miliardi), si scoprirà come il fatto
di modificarsi implichi per la macchina (come per l’uomo) la possibilità anche
di migliorarsi e quindi di evolvere, sopraffacendo, potenzialmente, l’ormai
apatica razza umana.
È proprio la scoperta di un robot in grado di modificarsi
autonomamente, la molla che dà l’avvio alla storia di Automata: l’agente
assicurativo Vaucan cercherà con tutte le sue forze chi è stato in grado di
modificare il robot permettendogli di eludere la seconda direttiva, scoprendo
che dietro al responsabile si nasconde qualcosa di ben più inquietante.
Come al solito le mie recensioni, se così possono essere
definite, sono più che altro riflessioni, a volte vaneggiamenti. Di tutto il
film, infatti, è il rapporto tra uomo e macchina, tra uomo e Umanità, a
consentirci, ben oltre la trama, i pensieri più interessanti:
L’avanzata delle mortali e venefiche immensità desertiche riduce
sempre di più lo spazio vitale per gli uomini, aumentando quello in cui le
macchine possono invece sopravvivere. I robot, tuttavia, non entrano in
conflitto diretto con gli uomini, anzi. Essi fuggono dalle città umane, si
addentrano in quegli spazi mortiferi in cui, semplicemente, essi possono
trovare un domani migliore, il proprio diritto alla vita e ai sentimenti.
Se l’umanità ha smesso di migliorarsi, di evolvere, di
cercare di adattarsi a un ambiente in mutamento non può che soccombere; sarà un’altra
forma di vita più adatta a quegli ambienti estremi ad emergere. Il senso del
film però è ben più sottile; o perlomeno lo è nella testa di chi come me ama
tanto fare le “seghe alle formiche” (scusate la caduta di stile).
Gli eventi della pellicola, che sembrano a tutti gli effetti
una dimostrazione del principio dell’evoluzione, non si riducono però alla semplice
vittoria del più forte o del più adatto. Alla fine, pur in una forma di
intelligenza artificiale, è la natura umana nel suo senso più alto a trionfare:
sono la solidarietà e il mutuo soccorso, la capacità di superare le avversità,
di combattere per un futuro migliore a vincere.
Quando l’Uomo ha perso se stesso, si è arreso a un mondo
ostile, ovvero ha perso la capacità di farsi demiurgo della realtà, di
modificare il mondo con le proprie mani e la propria intelligenza, sarà un’altra
forma di vita, l’intelligenza artificiale, a esprimere la vera essenza dell’umano,
il lato migliore di noi.
Insomma, in Automata, le macchine sono più umane degli
uomini: si sacrificano l’una per le altre, si aiutano, lottano per un futuro
migliore. I robot, tuttavia, nella lotta per la sopravvivenza, contrariamente
agli uomini, non vengono mai meno alla prima fondamentale direttiva: “non uccidere”.
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