Vedere un grande
film è bello e parlarne bene è ancora meglio. Questa overture così piena di
poesia, tuttavia, non è fine a se stessa ma contiene i germi di un’altra rivelazione
di profonda verità: recensire una
pellicola brutta è ancora più piacevole. Esprimere un’opinione assolutamente
non richiesta e carica d’odio, è una di quelle cose che rende la vita degna di
essere vissuta; un po’ come le ferie pagate.
Come avrete
intuito non solo il film non mi è
piaciuto, ma l’ho proprio disprezzato: una delle più goffe rappresentazioni
di quell’oscuro e misterioso medioevo che ancora tanto affascina scrittori,
registi e affini. Un “medioevo fantastico” (non quello di Baltrušaitis, ovviamente)
in cui si muovono (recitano sarebbe un verbo troppo pretenzioso) una strega malvagia e un belloccione inesperto che scopre la sua
vera natura di eroe e mago praticamente da nulla e il cui unico merito è quello
di essere il settimo figlio di un settimo figlio.
A questi si aggiungono un maestro ironico e insopportabile, un’altra gnocca fattucchiera e una storia d’amore che più scontata di così si muore, il tutto condito da un bel po’ di effetti speciali;
forse l’unico elemento valido in tutto questo costoso carrozzone.
Che dire poi
della presenza di John Snow,
specchietto per le allodole utile giusto ad attirare i fan di Trono di Spade al cinema? Da dire, in
realtà, c’è ben poco: pronti via e il buon John crepa bruciato. Speriamo che
almeno si sia goduto il copioso cachet percepito. La trama, in questo caso giova ripetersi, è labile e scontata: nessuno
dei personaggi, tranne forse il leggermente spassoso maestro Gregory, riesce a mostrare la ben che minima traccia di
personalità, a partire proprio dalla crudele antagonista.
L’obiettivo di
Julianne Moore è, tanto per
cambiare, il male per il gusto del male o al massimo la sete di potere: una
scelta psicologica raffinata come Calderoli e piuttosto lontana da qualunque desiderio
di originalità. La storia parte da un solido romanzo fantasy e di formazione,
vecchio stile ma comunque apprezzabile, rimaneggiato con mano da boscaiolo
sadico. Nullificato il percorso formativo (il ragazzino nel libro ha 12 anni e,
al termine dell’avventura contro Madre Malkin, riprende giustamente il suo
apprendistato), il film tende ad aderire al modello Romeo&Giulietta,
con l’amore contrastato tra la “famiglia” delle streghe e quella dei cacciatori
di fattucchiere.
Insomma, rispetto al libro (che comunque resta
un romanzo per ragazzi) tutto viene banalizzato, semplificato, ridotto ad
avventura con tante spade, qualche drago e un lungo elenco di stravaganti
supporter della cinica strega, ovviamente in precedenza fiamma di maestro
Gregory. Una pellicola che, volontariamente, punta al film di consumo, quando invece avrebbe tutte le carte in
regola per spaccare i culi. «Tu ti aspetti troppo da un film senza pretese»,
potrebbe obiettare qualcuno. E avrebbe ragione.
Diciamo che
guardando il Settimo Figlio ho
provato la stessa sensazione che mi suscitò la visione di un’altra becera bestialità
pseudo fantasy (parlo dell’adattamento cinematografico, non del libro), Eragon, di cui, giustamente, nessuno ha
mai voluto produrre un seguito. Soprattutto dopo aver doppiato il drago con una
voce che incita alla zoofilia.