Google+

24 giugno 2015

Jupiter Ascending: i Wachowski fanno flop?


La critica lo ha stroncato, il pubblico ha lanciato le bibite contro lo schermo e i bambini hanno pianto. Eppure a noi è piaciuto. Il critico cinematografico del “Guardian” Mark Kermode lo ha definito “assolutamente nonsense”. Eppure a noi è piaciuto. Se Jupiter Ascending è un “nonsense”, allora lo è anche Matrix. Alzi la mano chi, alla fine del terzo film della trilogia di Neo, ha avuto la sensazione di aver compreso perfettamente tutto quello che c’era da capire. Se avete alzato la mano, tiratela giù perché tanto state mentendo.

In entrambe queste pellicole, infatti, è proprio l’esorbitanza dell’universo creato, l’immensità dell’affresco a lasciare esterrefatti pubblico e critica. Insomma, risulterà sempre un nonsense a chi non si concentra per comprendere le dinamiche politico-economiche-sociali che stanno alla base della trama più spicciola, a cogliere gli elementi descrittivi di un universo estremamente complesso:

c’è Horus, il vero pianeta di origine della razza umana, soffocato dalla sovrappopolazione e dalla burocrazia, i cui ingranaggi si oliano, persino nella fantascienza, con le mazzette; c’è Giove, trasformato in fornace industriale (molto simile al Mustafar di Star Wars); c’è la Terra, ridotta a uno dei tanti “allevamenti” per ricavare l’elisir dell’eterna giovinezza; un universo in cui il crudele Balem è spinto, come ci racconta in un lungo monologo, dal profitto e dal soddisfacimento delle leggi di mercato.

Dietro tutto questo c’è sempre lo zampino dei fratelli Wachowski (questa volta violentemente critici con il capitalismo più sfrenato, quello che per creare un misero flacone di elisir d’immortalità miete cento vite) che proprio dal loro più grande successo raccolgono a piene mani: al centro dell’immaginario catastrofico dei due registi-sceneggiatori c’è sempre la coltivazione (e la mietitura) della razza umana; gli uomini, da predatori di risorse planetarie (come in tantissima fantascienza), sono ancora una volta risorse essi stessi, prede di altri crudeli coltivatori.

Antichissime famiglie spaziali inseminano con i propri geni pianeti disponibili alla vita (sulla terra hanno anche fatto estinguere i dinosauri) e quando la popolazione raggiunge un numero congruo viene mietuta per ottenere una sostanza luminescente blu che permette di vivere in eterno. I diritti di mietere questo raccolto di vite umane nei diversi pianeti sono dei tre rampolli della famiglia Abrasax, entrati in possesso dei vari mondi dopo l’assassinio della madre (indovinate chi ha fatto in modo di liberarsi della vecchia mammina?).  

Detto questo, la trama (quella spicciola) è indubbiamente banale e scontata, per quanto l’azione sia ben costruita e sempre dinamica; forse però, proprio il fatto che lo spettatore non debba focalizzarsi sul succedersi degli eventi, dovrebbe spingerlo a concentrarsi sui dettagli utili a ricostruire il mondo in cui l’azione si svolge.

Caine, un misterioso e sensuale ibrido uomo-lupo (Channing Tatum), inizialmente assoldato per trovarla, è poi sempre e comunque pronto a combattere per salvare la bella donzella in pericolo Jupiter (Mila Kunis); la ragazza è l’insospettabile reincarnazione genetica (e quindi ereditiera ufficiale), nata sulla terra, della madre dei tre rampolli di nobile lignaggio che già si stavano godendo l’eredità ed erano pronti a mietere il loro sanguinoso raccolto. Quindi, essenzialmente, il bieco motivo di tanti sforzi profusi per l’uccisione dell’affascinante Jupiter riguarda mere questioni ereditarie.

Non c’è tuttavia da preoccuparsi, il bel principe azzurro sul suo bel cavallo bianco arriverà sempre in soccorso, con i suoi rollerblade a inversione di gravità, della fanciulla in caduta libera; tranne quando lei, tutta da sola, riesce a prendere a sprangate il cattivo. Dal punto di vista della trama, evidentemente, c’è stato un salto indietro di 20 anni. Persino la Disney, ormai, ha ceduto al girl power (The Brave, Frozen, ecc.), alla fanciulla che si salva da sola, che degli uomini, in realtà, non ha neppure troppo bisogno.

Potremmo però dire anche la stessa cosa di Avatar: la trama è niente di più che quella di Pocahontas, eppure ha raggiunto incassi nell’ordine dei miliardi di dollari. Il fascino dell’universo di Avatar, però, stava nella sua evidenza immaginifica, nella sua facilità di fruizione: strani animali, foreste intricate luminescenti, crudeli società predatrici di risorse (ancora l’uomo arraffone, oltretutto), ecc. Insomma, nulla per capire il quale servisse spremersi le meningi.

Bravo il premio Oscar Eddie Redmayne nella parte di Balem, il patologico (e con un rapporto con la madre parecchio ambiguo) primogenito di casa Abrasax; Mila Kunis fa quello che deve con quei begli occhioni profondi e lo sguardo da pesce arrapato quando guarda l’uomo-lupo, con il quale ci prova spudoratamente ma lui, per assurde motivazioni di “ceto sociale”, la ignora; Channing Tatum, oltre a frustrare il desiderio sessuale di Jupiter (salvo alla fine), essenzialmente spara, dinamico e travolgente come sempre.
  

Nessun commento:

Posta un commento