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27 febbraio 2015

Unbroken, tra “Passione” e violenza gratuita

Dal trailer Unbroken prometteva bene, un’epica storia di resistenza e coraggio nell’inferno della Seconda Guerra Mondiale, la biografia di un uomo capace di resistere a ogni avversità. Anche se, bisogna dirlo, Phil, l’amico e commilitone del protagonista – alias Domhnall Gleeson –, pur superando le stesse identiche prove, a un certo punto scompare dalla scena, spedito in un altro campo di prigionia e dimenticato dalla regista Angelina Jolie; se ne ricorda giusto alla fine, quando leggiamo della sopravvivenza di Phil alla guerra nei titoli di coda.

Nel titolo parliamo di “Passione” con la lettera maiuscola perché di martirio vero e proprio si tratta, in una sequela infinita di sofferenze e fatiche, fino al “cristologico” acme finale in cui Louis ZamperiniJack O'Connell – è costretto a sollevare una pesante trave sopra la testa, in un gioco di ombre che non può non ricordare la crocifissione.

A questo si aggiunge l’insapore, insulsa e a tratti ridicola l’interpretazione generale del protagonista che ha essenzialmente due sole espressioni: una smorfia di sofferenza e un sorrisetto fastidioso. Anche la visione della Storia, anch’essa con la maiuscola, non può che lasciare insoddisfatti: i belli, bravi e coraggiosi militari americani (o meglio, aviatori americani, visto che di marine non se ne vedono) sono diametralmente opposti ai carcerieri giapponesi, vessatori e tutti ugualmente sadici e inumani.
La cattiveria tocca l’apice, anzi il parossismo, nella figura del sergente Watanabe (Miyavi, pop-rock star giapponese), inutilmente crudele fino alla caricatura. Il militare, androgino nell’aspetto quanto nella recitazione, è violento ma anche emotivamente fragile, quasi che le vessazioni a cui sottopone Zamperini siano solo un modo per attirare l’attenzione di un uomo che avrebbe potuto essergli amico.

Persino i titoli di coda riescono a celebrare la capacità di perdono di Louis, che dopo la guerra andò in Giappone per incontrare i suoi carcerieri, opposta al sergente, il quale, neppure da anziano, vorrà rivedere il prigioniero che l’ha umiliato.

Per il resto il racconto è la biografia edificante e a tratti agiografica dell’atleta olimpico che, riscattato da una gioventù di criminalità grazie allo sport, parteciperà alle Olimpiadi, prima di finire nel mattatoio del secondo conflitto mondiale.

In seguito a un incidente aereo passerà un numero spropositato di giorni alla deriva su un gommone (durante una tempesta fa persino voto di dedicare la propria vita al Signore se si fosse salvato); salvato da una nave giapponese sarà costretto a una lunga e terribile prigionia, fino alla liberazione conclusiva e al bagno purificatore (dalla polvere di carbone ma anche dalle brutture della guerra) nella acque di un fiume. 
Di tutte le sevizie e le difficoltà che si vedono nel film resta però la consapevolezza che, per quanto romanzata, questa sia la storia vera di un uomo che è stato veramente eccezionale, più di quanto il piatto e pallido racconto della Jolie faccia immaginare. Louis Zamperini è morto il 2 luglio 2014 a novantasette anni, dopo aver condotto per un tratto, nel 1998, la torcia olimpica in occasione dei Giochi olimpici invernali di Nagano.

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