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29 marzo 2015

Le sigle più belle delle serie tv, da Vikings a Trono di Spade


Una bella scorpacciata di sigle. Le più belle sigle delle serie tv attualmente in circolazione, per essere precisi. E chi lo dice? Beh, io. E il Ratto, per la sua natura sotterranea, conosce i segreti più reconditi del mondo delle serie tv. Quindi fidatevi.

E se per caso qualcuna delle serie tv che citerò vi è sfuggita, fareste meglio ad ovviare alla terribile ignoranza che ancora vi caratterizza. Nessuna offesa, ma se non avete visto Vikings, allora non siete nessuno. Tra le sigle più belle delle serie tv, di conseguenza, non poteva certo mancare quella che apre tutte le puntate della bella serie storica sugli “Uomini del Nord”. Eccola quindi, in tutto il suo evocativo splendore:


Non pensiate però che per scegliere io mi sia basato solo sui miei opinabili gusti, anche perché, alcune delle serie tv citate, non le ho nemmeno mai viste. Le sigle però devono poterci dire qualcosa senza esagerare, devono intrigarci senza svelare, devono dare quell’effetto vedo non vedo che ci conquista, ad esempio, in un trailer ben costruito o in abito succinto. Sempre di godimento estetico si tratta, no?

Ecco dunque le più belle sigle delle serie tv, partendo dal racconto delle abitudini quotidiane di Dexter trasformate in ambigui gesti omicidi, ai fin troppo espliciti doppi sensi di Master of Sex e alla sensualità della canzona di True Blood, fino alle marmoree sculture di Black Sails e alla profondità dei volti di Orange is the new Black. Ultima, ma non certo per importanza, la sigla di Trono di Spade, ormai eletta a classico.

Dexter

Master of Sex

Boardwalk Empire

Black Sails

Orange is the new black

True Detective

True Blood

Trono di Spade

26 marzo 2015

Diversità, follia e genialità: The imitation game


The imitation game si muove su diversi piani temporali e necessita di attenzione e costanza per essere apprezzato. Personalmente ho trovato il ritmo altalenante ma mai così discendente da risultare noioso; altri direbbero il contrario ma qui, almeno qui, la mia opinione è quella che conta di più. In primis, mi vorrei soffermare poche righe sul significato del titolo: premetto che, per spiegarlo con cura, ci vorrebbero pagine che, francamente, non ho tempo né voglia di scrivere.

Oltretutto, non è detto che io sia in grado di rendervi chiari i concetti che stanno alla base del Test di Turing, un “gioco” di riconoscimento che consentirebbe, attraverso uno scambio linguistico, di capire se il proprio interlocutore è una macchina oppure un uomo. Nessuna macchina, infatti, è in grado, ancora oggi, di pensare come un essere umano. Le macchine, anche le più sofisticate, imitano (termine che ritorna spesso) i processi mentali dell’uomo, ma non sono in grado di applicarne le infinite potenzialità. Anche se, secondo Alan Turing, ideatore della prova e matematico protagonista della pellicola, prima o poi le intelligenze artificiali diventeranno capaci di pensare come noi, ingannando il test.

Nel film, tuttavia, di test di Turing non si parla, anche se il complicato rapporto tra uomo e macchina è ben evidente: Lei, di Spike Jonze, aveva già trattato l’amore impossibile tra un essere umano e una controparte digitale; in The imitation game, invece, la macchina costruita da Turing per decifrare Enigma (il sistema di crittografia usato dai nazisti nella seconda guerra mondiale), chiamata Christopher,  è l’unico contraltare affettivo che il matematico riesce ad accettare; un surrogato di quel primo grande amore omosessuale del matematico, Christopher appunto, morto giovanissimo.


Una perdita che Turing rimuove, chiudendosi in un’apatia emotiva che lo rende incapace di rapportarsi con il prossimo. Genio e follia spesso si toccano, creando individui “diversi” per antonomasia. Oltre a riflettere sui rapporti tra uomo e intelligenza artificiale (di cui ho parlato anche a proposito di Automata, il nuovo film con Antonio Banderas), infatti, la pellicola descrive proprio il valore della “diversità”, oltre che mostrare la, a volte insuperabile, necessità di fingere, di nascondere la propria difformità dietro l’imitazione della normalità.

Alan Turing, infatti, oltre a essere sociopatico e del tutto incapace di empatia, è, come si era già intuito, pure omosessuale. Insomma, la quintessenza della diversità, nel 1940 come oggi. Ma, come sentiamo più volte dire nel film, «Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare». E così sarà: Turing, oggi riconosciuto come uno dei padri del moderno computer, riuscirà, nel corso del film, a scoprire il sistema per decrittare Enigma, permettendo agli Alleati di vincere la guerra.

Un modo anche inconsueto per descrivere la guerra che più di ogni altra ha cambiato il volto dell’Occidente, non attraverso l’eroismo dei combattenti ma grazie a quello sotterraneo di gente che oggi chiameremmo semplicemente nerd. Detto questo potremmo stare ore a parlare di un Inghilterra dove l’omosessualità era un reato. Ma non è su questo che mi voglio soffermare: infatti siamo tutti d’accordo che arrestare la gente perché omosessuale sia una cosa molto poco gentile da fare.

Vorrei invece dire due parole in più su un aspetto poco analizzato dalle recensioni di The imitation game che ho potuto leggere; nel film è estremamente interessante il momento immediatamente successivo alla definitiva decrittazione del codice nazista. Turing e la sua squadra sono in grado di conoscere in anticipo dove verranno sferrati gli attacchi sottomarini nell’Atlantico ma, immediatamente, sorge un’amara consapevolezza: nel momento in cui questa conoscenza verrà usata per anticipare gli attacchi, i tedeschi capiranno che il codice è stato svelato.

L’intelligenza sistemica del matematico gli permette  quindi di capire la necessità di sacrificare qualcuno per non far capire ai tedeschi che Enigma è stato decrittato. Non tutte le coordinate degli attacchi tedeschi alle navi americane nell’Atlantico potranno essere segnalate alla marina statunitense, non tutti i soldati potranno essere salvati. Per mettere fine al conflitto il prima possibile qualcuno dovrà per forza lasciarci le penne. Secondo i titoli di coda, tuttavia, grazie allo svelamento di Enigma, si sono risparmiati due anni di guerra, con i relativi caduti da ambo le parti.

17 marzo 2015

Tim Burton girerà Dumbo con attori in carne e ossa, la PETA già si lamenta


Sembra proprio che la PETA, la potente associazione animalista, in questi giorni non abbia molto da fare. Infatti, poche ore dopo l’annuncio secondo cui Tim Burton girerà un adattamento live action, ovvero con attori in carne e ossa, del classico Disney Dumbo, il gruppo ha fatto immediatamente sentire la sua voce.  In una lettera, l’associazione chiede al regista che il nuovo film abbia un finale “più etico” rispetto a quello dell’originale del 1941, magari prevedendo una vita libera fuori dal circo per il celebre elefantino.

Dalle indiscrezioni che stanno lentamente filtrando, sembra comunque che anche la stessa Disney voglia dare un taglio più moderno alla pellicola; quale sarà il risultato dello stravolgimento (perché così sicuramente sarà) operato da Tim Burton non possiamo però neppure immaginarlo. È anche vero che gli adattamenti recenti dei classici Disney finiti nella morsa dell’industria cinematografica, come Maleficentecco la nostra recensione! –, Alice in Wonderland, Cenerentola e presto pure Il Libro della Giungla, difficilmente tradiscono le aspettative! Speriamo che anche per Dumbo sia così.

Si tratta comunque ancora di voci di corridoio, per quanto la notizia sia abbastanza sicura. Tant’è che possiamo già dirvi che la sceneggiatura sarà affidata all’autore degli ultimi tre capitoli di Transformers, Ehren Kruger. Quindi, per quanto ne sappiamo, è anche possibile che tra Dumbo e Transformer si faccia una sorta di crossover, alla fine del quale si scoprirà che l’elefantino è un realtà un Desempticon mandato sulla terra per sterminarci tutti. Tanto, male che vada, ci penserà Optimus Prime a salvarci, sempre a cavallo di quel bel T-Rex meccanico.


16 marzo 2015

Automata e il ritorno di Banderas, dalle galline agli automi


Finalmente Antonio Banderas ha smesso di parlare con le galline. Dopo aver abbandonato Rosita, il bel Mulino Bianco e le brioche immerse nella Nutella, in Automata il nostro mugnaio si trova gettato in metropoli claustrofobiche, uggiose ed eternamente coperte da una fitta e artificiale coltre di nuvole; il tutto per proteggere l’umanità sopravvissuta alla catastrofe dalle radiazioni solari.

Anche se i cliché della fantascienza post apocalittica ci sono tutti, dalla caccia all’androide “difettoso” alle irremovibili leggi di Asimov in versione sintetica, il film raggiunge qualche interessante tocco di originalità: il protagonista, Jacq Vaucan, agente assicurativo per la Roc Robotics Corporation, ad esempio, è combattuto tra la ricerca della verità, tra la risoluzione del caso che lo ossessiona e la famiglia, la figlia che gli sta per nascere.

L’ambientazione è quella della città fortificata, difesa da alte mura, utili a tenere il mondo civilizzato della megalopoli separato dalle baraccopoli del ghetto e dal deserto che avanza, una distesa senza vita, radioattiva e fatale. I robot sono ormai una realtà quotidiana e, costruiti con la speranza di bonificare le aree avvelenate, falliranno, riducendosi a semplici operai, disprezzati dai loro padroni umani.

Tutti gli automi devono rispettare due direttive immodificabili: non  fare del male agli esseri umani e non modificare se stessi. Anche se alla base del secondo dogma sembra esserci una ragione molto prosastica (se i robot potessero ripararsi da soli, la società che li produce perderebbe miliardi), si scoprirà come il fatto di modificarsi implichi per la macchina (come per l’uomo) la possibilità anche di migliorarsi e quindi di evolvere, sopraffacendo, potenzialmente, l’ormai apatica razza umana.


È proprio la scoperta di un robot in grado di modificarsi autonomamente, la molla che dà l’avvio alla storia di Automata: l’agente assicurativo Vaucan cercherà con tutte le sue forze chi è stato in grado di modificare il robot permettendogli di eludere la seconda direttiva, scoprendo che dietro al responsabile si nasconde qualcosa di ben più inquietante.

Come al solito le mie recensioni, se così possono essere definite, sono più che altro riflessioni, a volte vaneggiamenti. Di tutto il film, infatti, è il rapporto tra uomo e macchina, tra uomo e Umanità, a consentirci, ben oltre la trama, i pensieri più interessanti:

L’avanzata delle mortali e venefiche immensità desertiche riduce sempre di più lo spazio vitale per gli uomini, aumentando quello in cui le macchine possono invece sopravvivere. I robot, tuttavia, non entrano in conflitto diretto con gli uomini, anzi. Essi fuggono dalle città umane, si addentrano in quegli spazi mortiferi in cui, semplicemente, essi possono trovare un domani migliore, il proprio diritto alla vita e ai sentimenti.

Se l’umanità ha smesso di migliorarsi, di evolvere, di cercare di adattarsi a un ambiente in mutamento non può che soccombere; sarà un’altra forma di vita più adatta a quegli ambienti estremi ad emergere. Il senso del film però è ben più sottile; o perlomeno lo è nella testa di chi come me ama tanto fare le “seghe alle formiche” (scusate la caduta di stile).

Gli eventi della pellicola, che sembrano a tutti gli effetti una dimostrazione del principio dell’evoluzione, non si riducono però alla semplice vittoria del più forte o del più adatto. Alla fine, pur in una forma di intelligenza artificiale, è la natura umana nel suo senso più alto a trionfare: sono la solidarietà e il mutuo soccorso, la capacità di superare le avversità, di combattere per un futuro migliore a vincere.

Quando l’Uomo ha perso se stesso, si è arreso a un mondo ostile, ovvero ha perso la capacità di farsi demiurgo della realtà, di modificare il mondo con le proprie mani e la propria intelligenza, sarà un’altra forma di vita, l’intelligenza artificiale, a esprimere la vera essenza dell’umano, il lato migliore di noi.

Insomma, in Automata, le macchine sono più umane degli uomini: si sacrificano l’una per le altre, si aiutano, lottano per un futuro migliore. I robot, tuttavia, nella lotta per la sopravvivenza, contrariamente agli uomini, non vengono mai meno alla prima fondamentale direttiva: “non uccidere”.

12 marzo 2015

Mortdecai, la prima recensione di coppia del duo MaRk & MiLLy


Milly: A 20 giorni dall’uscita nelle sale del film, apriamo la nostra rubrica con la recensione di Mortdecai, l’ultima pellicola di Johnny Depp diretta da David Koepp (spesso collaboratore di Spielberg).

Mark: perché non metti i cuoricini dopo la frase dato che sei innamorata del Sig. Depp??

Milly: … -.- … Le riprese sono iniziate a Londra il 21 Ottobre 2013 per arrivare all’uscita del film il 19 Febbraio 2015. Il film è basato su una serie di 4 romanzi di Kyril Bonfiglioli che hanno per protagonista proprio il nostro Charlie Mortdecai.

Mark : perché nostro?

Milly: perché ci sta bene….

Mark : Ah ok!


Milly : tornando a noi ... il film tratta di Charlie, un eccentrico mercante d’arte (alias Johnny Depp) che vive sul filo dell’illegalità ma che occasionalmente collabora con la polizia. Più specificatamente con l’ispettore Martland (Ewan McGregor) segretamente innamorato della giovane e aitante moglie di Charlie, Johanna (la bellissima Gwyneth Paltrow).

Mark : beh non proprio segretamente…ogni volta che la vede il suo encefalogramma diventa piatto…ma questa è solo la parte noiosa della trama, in realtà la parte divertente della storia riguarda le avventure che il nostro (hai visto Milly che ho scritto nostro :D ?!) protagonista dovrà affrontare per trovare un famoso dipinto per conto del suo antagonista ispettore. Il tutto è infiocchettato dalla critica situazione economica che lo spingerà a portare a termine il suo nuovo incarico.

Cosa penso di Mortdecai? Partendo dal presupposto che non ho letto il libro, il film nel complesso è ben strutturato, la storia non è banale nonostante non pretenda di essere un colossal…

Milly: Beh che esagerazione,  Johnny non ha mai preteso di girare un colossal!

Mark: Ah, siamo già passati al “Johnny”? Da quando siete diventati intimi?! … In ogni caso non intendevo questo ma che nella sua storia d’attore ha interpretato ruoli molto più impegnati in film di ben altro spessore (es. Edward Mani Di Forbice o più recentemente Transcendence); tanto è vero che, nonostante riconosca la sua ottima interpretazione in questo film, il personaggio mi sembra molto simile a quelli impersonati nelle ultime pellicole, soprattutto per quanto riguarda alcuni dettagli: ad esempio la corsa effeminata alla Jack Sparrow in Pirati dei Caraibi oppure il sarcasmo tagliente alla Willy Wonka ne La fabbrica di cioccolato.

Milly: Aspetta un attimo…su questo posso anche darti ragione ma trovo che la personalità eccentrica richiesta dal ruolo potesse interpretarla solo lui.

Lo humor richiesto dal personaggio di Mortdecai ben si confà alle sue capacità interpretative….difficilmente un altro attore sarebbe riuscito così bene nella parte.

Tra l’altro trovo la coppia Charlie-Johanna estremamente spiritosa insieme!....anche Gwineth in questo ruolo mi è piaciuta molto.

Mark: Ma come parli?! Ben si confà?! Stiamo scrivendo per un blog mica una recensione ufficiale per la mostra del cinema di Venezia!

Al posto di sfogliare a caso il dizionario sperando di fare colpo sui lettori cerchiamo di trarre delle conclusioni utili da dare a chi è rimasto perplesso guardando l’anonimo trailer.

Mark & Milly: Guardando il trailer non gli dareste due lire, anzi due euro, come ci è parso di capire anche chiedendo opinioni e pareri a chi ancora non ha avuto occasione di vedere il film.


In realtà si tratta di una commedia (e non di un thriller come sostiene l’esimia Wikipedia) estremamente brillante e divertente grazie a ogni personaggio presente nella storia. La coppia Depp-Paltrow supera le aspettative, riuscendo a farti mantenere il sorriso per tutta la durata del film, dall’inizio fino all’ultima scena (vedete di non perdervela!).

Unica nota dolente, forse è una pellicola un po’ sottotono rispetto ai 60 milioni di dollari investiti nel progetto (come se li avessimo spesi noi!).

Milly: per le fan di Johnny Depp aspettiamo con ansia la prossima interpretazione! ;)

10 marzo 2015

I Soliti Idioti mettono in scena la Commedia, dove possiamo vomitare?


Due importanti premesse prime di parlare de La solita Commedia - Inferno, il nuovo film di Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio in uscita il 19 marzo: in primis anch'io ridevo guardando i Soliti Idioti; il passato però è d'obbligo. A furia di giocare sulle stesse situazioni, persino il fenomenale "dai cazzo" o "le fai sentì la presenza" stufano.

Quindi, immaginando che ne La solita Commedia - Inferno ci proporranno gag nuove e originali, con tutta la buona volontà del mondo evitiamo di giudicare prima del tempo (il titolo è stato un moto spontaneo dell'animo che scuserete) un film che forse vuole solo perseguire con onore l'alto obiettivo, accettabilissimo, di svagare lo spettatore. 

La seconda premessa è che, attendendo con ansia le miliardi di critiche negative che questo film si tirerà dietro ("l'importante è che se ne parli", direbbero gli esperti di marketing), mi viene però da riflettere su quanto sia bello che a 700 anni di distanza, la Commedia di Dante possa ancora essere fonte di ispirazione e di "citazione", persino per il più becero e basso tra i prodotti culturali. 

Questo film potrebbe addirittura smentire chi afferma che la Commedia (e la letteratura in generale) non sia più patrimonio culturale comune a tutti gli italiani! Lo so, sono un inguaribile ottimista, vedo qualcosa di positivo anche dove molti colleghi italianisti riuscirebbero solo a rigurgitare la cena. 

Certamente, rispetto a La solita Commedia - Inferno (temiamo possibili sequel), tanti altri tentativi di trasporre il classico dei classici in una forma meno scolastica, ad esempio L'Inferno di Topolino pubblicato dalla Disney nel 1949 oppure le letture dantesche di Benigni, si posizionarono a un livello mille volte superiore. 

Inutile nascondere la verità: una deriva culturale esiste. Ma la Commedia di Dante dell'abbassamento culturale del "paese dove il sì suona" se ne frega: eccola ancora una volta lì, a mostrarci ogni minuto che passa che cosa significhi essere veramente un classico fecondo e immortale... 

Alla faccia delle premesse! Effettivamente forse mi sono fatto prendere un po' la mano. In ogni caso, come al solito, eviteremo di raccontare la trama che, nella sua semplicità (ma anche originalità), è ben chiarita dal trailer:


A questo punto non resta che rimandare tutti i possibili commenti a dopo il 19 marzo, ribadendo ancora una volta l'estrema furbizia del duo comico che, questa volta, sembra proporre una pellicola con una trama che non sarà solo una sequela di gag sconnesse tra loro.

Certamente l'obiettivo di Mandelli e Biggio è anche quello di far parlare di sé, spingendo tutti, entusiasti o perplessi, a pagare il biglietto del cinema. Tuttavia, se film del genere servono a qualcosa (oltre a far "ridere", ovviamente), potremmo dire che stimolano la discussione su temi complessi tra cui il concetto di classico e la sua rivisitazione, il limite tra parodia e pagliacciata oppure tra irriverenza e sacrilegio.
   

6 marzo 2015

Avengers - Age of Ultron, scorpacciata di trailer


In Avengers - Age of Ultron (e anche nel trailer 3 uscito da poco) vedremo la superbia di Tony Stark crollare in mille pezzi sotto il peso del fallimento, assisteremo alle violente lotte interne al gruppo dei Vendicatori, guarderemo gli eroi soffrire, sempre più vicini al baratro della sconfitta. Anche se agli Avengers, del baratro, importa poco: la metà di loro può volare!

Perdonate la battuta triste. In questo post non voglio però parlare di Avengers - Age of Ultron, anche perché tutto è già stato detto. Quando lo vedrò, mi impegno da ora a buttare giù qualcosina di originale. In mancanza di materiale da recensire, ecco una bella scorpacciata di video (tra cui l'ultimo e nuovissimo trailer pubblicato l'altro ieri sulla pagina di Marvel Italy) che, ovviamente, o almeno così speriamo, non ci rovineranno il film.

Teaser Ufficiale italiano


Trailer ufficiale italiano


Trailer italiano ufficiale Esteso


Nuovo trailer italiano, numero 3


E ora è veramente l'ora di vederlo sto benedetto film...

5 marzo 2015

Lupin III, il film tutto giapponese che in Italia non vedremo mai


Lo giuro, il 30 agosto 2014 è uscito in Giappone Lupin III - il film, che, sfortunatamente, non vedremo mai in Italia, perlomeno al cinema. Tendenzialmente, di pellicole giapponesi, a parte i Cavalieri dello Zodiaco (pollice in giù per la recente comparsata sul grande schermo) e le opere d'arte animate di Miyazaki, non se ne vedono molte.
Questo, probabilmente, il motivo che ha spinto le case di distribuzione italiane a non sobbarcarsi gli oneri di doppiaggio di Lupin III - il film. Inoltre, tanto per ricordarlo, le versioni con attori in carne e ossa degli anime/manga giapponesi al 99% fanno accapponare la pelle; non vi sarete mica dimenticati il tentativo di portare Dragon Ball sul grande schermo, vero? La notte, qualche volta, mi sveglio ancora sudato. 

Questo film su Lupin III però avrebbe potuto fare eccezione ... pensate, si tratta del primo live action riconosciuto come autentico dall'ideatore del noto personaggio, il mangaka giapponese Monkey Punch che nel 1967 diede inizio alla fortunata saga del ladro gentiluomo dalla giacca colorata. 

Secondo Mymovies la trama vede Lupin, Jigen, Goemon e Fujiko, identici a quelli del cartone animato, lavorare insieme per rubare un gioiello noto come il "Cuore cremisi di Cleopatra". L'inestimabile prezioso è però custodito in una gigantesca cassaforte di massima sicurezza chiamata "L'Arca di Navarone". 

Ai quattro protagonisti si aggiunge l'instancabile (un po' come Willy il Coyote con Beep Beep) ispettore Zenigata. Forse non vi metterete alla ricerca del film in streaming, però almeno il trailer vorrete vederlo. 
Concludiamo con qualche informazione in più, per i più esperti: Ryuhei Kitamura alla regia, Shun Oguri nei panni di Lupin III, Tetsuji Tamayama è Jigen, Go Ayano è Goemon, e la bella Meisa Kuroki ha interpretato Fujiko; nei panni dell'Ispettore Zenigata c'è Tadanobu Asano, forse l'unico che vi dirà qualcosa (i due Thor, 47 Ronin e Battleship). 


Come saprete Arsenio Lupin è un personaggio di finzione, nato dalla penna di Maurice Leblanc nel 1905. Da quel canovaccio letterario sono stati tratti romanzi, racconti, opere teatrali, telefilm, serie animate e film come se piovesse: Arsène Lupin del 2004 è solo l'ultimo di una lunga serie, ben elencata nella pagina di wikipedia dedicata al ladro gentiluomo

Anche l'Italia, nel suo piccolo, ha celebrato il furfante dalla giacca colorata: i personaggi del cortometraggio Basetteoltretutto con un cast di livello, sono infatti tutti ispirati alla serie animata di Monkey Punch.

4 marzo 2015

Avatar 2, 3 e pure 4: la nuova trilogia di Pandora


Ve lo ricordate Avatar? Certo che ve lo ricordate. Per quello che mi riguarda, nell'ormai lontano 2009, è stato il primo film che spontaneamente andai a vedere in 3D e, probabilmente, pure l'ultimo, visto che oggi una proiezione del genere costa almeno 13 euro. Da subito si sentì parlare di possibili sequel; ora, a distanza di quasi 6 anni, pare che James Cameron sia ancora alle fasi preliminari di produzione; in realtà ha iniziato a lavorare veramente alle sceneggiature di Avatar 2, 3 e da circa un annetto, assistito da un vero team di sceneggiatori, l'A(vatar)-Team (che simpatia).

Con tutta probabilità vedremo Avatar 2 a dicembre 2017 e non a Natale 2016 come era stato annunciato precedentemente, seguito, in tempi molto più brevi, dal 3 e pure dal 4. Le riprese, se tutto andrà come deve andare, potrebbe iniziare già da questo autunno. In quel momento avremo notizie maggiori: qualcosa di succulento, infatti, volente o nolente, trapela sempre. Del cast, ad esempio, si sa già qualcosa: ci saranno Sam Worthington, Zoe Saldana, Stephen Lang e, a sorpresa, Sigourney Weaver.

Una nuova trilogia insomma, non sappiamo ancora in quale rapporto con il primo episodio, che a questo punto potremmo denominare l'Avatar 0. Al limite del plausibile (anche per la fantascienza o per il portentoso panteismo pandoriano), oltretutto, pare che Sigourney Weaver sarà di nuovo tra noi. Anche se, secondo le dichiarazioni dell'attrice, sarà lei a ritornare su Pandora, non la dottoressa Grace Augustine. La vedremo quindi nei panni di qualcosa di completamente nuovo: "No, non interpreterò lo stesso personaggio", sono le lapidarie parole dell'attrice.

"Non posso più aspettare - prosegue poi la Weaver - hanno scritto una parte stupenda per me, un ruolo che andrà incontro a molti cambiamenti. Sono curiosa di scoprire come James riuscirà a gestire logisticamente le riprese dei tre film in simultanea. Più tempo passa a correggere gli script, più possibilità ci sono perché siano film memorabili. Sono orgogliosa di fare parte del messaggio che vuole lanciare al nostro pianeta".

Quindi armiamoci di santa pazienza e aspettiamo che Cameron il Perfezionista faccia il suo lavoro. Speriamo solo che i prossimi episodi abbiamo sceneggiature, magari un po' meno solide, ma più originali del Pocahontas in versione aliena. In ogni caso è molto probabile che sarà, come nell'Avatar numero 0, il sistema generale, l'ambientazione, a farla da padrone, in quello che certamente sarà un pirotecnico spettacolo 3D.

3 marzo 2015

Nuovo attacco di Leonardo DiCaprio all'Oscar: The Crowded Room


Alcuni di voi faranno un vero e proprio salto di gioia. The Crowded Room, conosciuto in Italia con il titolo di Una stanza piena di gente, diventerà finalmente un film. Il libro di Daniel Keyes, pubblicato nel lontano 1981 (da noi solo nel 2009), racconta la vera storia del criminale statunitense affetto da disturbo di personalità multipla William Stanley Milligan, meglio conosciuto come Billy Milligan

Colpevole di aver rapito, violentato e rapinato tre studentesse universitarie nel 1977, fu assolto per infermità mentale. Nella storia della giustizia americana era la prima volta che un criminale colpevole di reati gravi veniva assolto perché non in pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Negli Stati Uniti della fine degli anni 70 il processo Milligan rappresentò un caso mediatico di importanza enorme che sconvolse l'America intera.

La malattia di Billy Milligan fu anche eccezionale dal punto di vista prettamente medico e psichiatrico: erano infatti ben 24 le personalità che si alternavano nella mente dell'uomo, ognuna ben distinta e separata. Se la cosa vi ha stuzzicato, la pagina di wikipedia su Billy è piuttosto ampia e offre maggiori informazioni rispetto al poco che avete letto qui. In più, il libro, pubblicato da Editrice Nord, si trova piuttosto facilmente su Amazon e persino in molte biblioteche italiane: qui l'elenco.

Già nel 1992 voci nei corridoi hollywoodiani parlavano di una trasposizione cinematografica di questa incredibile vicenda, prendendo come spunto proprio il volume della Keyes, scritto con la collaborazione dello stesso Milligan. Il regista sarebbe dovuto essere James Cameron, ma le controversie suscitate lo convinsero ad abbandonare il progetto.


Una storia così, tuttavia, non poteva rimanere a lungo lontana dagli schermi: è di pochissimi giorni fa, infatti, la notizia che Leonardo DiCaprio interpreterà il criminale dalle 24 personalità nel film The Crowded Room. La pellicola sarà prodotta dalla Appian Way dello stesso DiCaprio in collaborazione con la New Regency. La sceneggiatura verrà scritta da Jason Smilovic e Todd Katzberg. Il regista è ancora ignoto. 

Con un film del genere, con l'interpretazione maiuscola che sicuramente DiCaprio saprà fare, potranno ancora soffiargli l'Oscar che tanto agogna (e che tanto merita)?

2 marzo 2015

L'Italiano Medio, il bi-maccionismo di ognuno di noi


Un po’ come i Promessi Sposi (mi scuseranno gli italianisti per la blasfemia del paragone), l’Italiano Medio ha la ricchezza del prodotto culturale capace di farsi apprezzare dalla “servetta” quanto dall’intellettuale o pseudo intellettuale. Tanti i possibili livelli di lettura, da quello basilare della trama spicciola e delle gag esilaranti, all’intreccio di citazioni cinematografiche più o meno esplicite, fino alla critica impietosa alle genti che vivono nell’italietta contemporanea.

Tempo fa recensii la Grande Bellezza. Lo sforzo che mi richiese quella pagina non è nulla rispetto alla fatica di scrivere su una pellicola così sfuggente e difficile da inquadrare. Rispetto al capolavoro di Sorrentino, l’Italiano Medio è più subdolo e, forse, più ricco nella sua pazzia; ben più vicino a ognuno di noi delle mollezze e della corruzione della Roma sorrentiniana, il film di Marcello Macchia è una follia che in primo luogo è nostra, della nostra Italia bipolare e lacerata. 


La trama di Italiano Medio evita il grande rischio di un film del genere: la continua sequela di gag comiche sconnesse. Rispetto infatti all’inconsistente sviluppo narrativo dei Soliti Idioti, i quali inanellavano un’infinita serie di gag, accumulando tutti i loro personaggi senza coerenza alcuna, la trama dell’Italiano Medio è costruita in modo coerente, in cui molti elementi rimandano certo all’universo “altro” di Maccio Capatonda (Mariottide, Mario, ecc.), restando però esclusivamente impliciti rimandi. Tutto nel film, nella follia e nel non-sense che caratterizza Marcello Macchia fin dagli albori, diventa sostegno allo scorrere della narrazione.


Ma torniamo per un secondo ai molteplici livelli di visione: va chiarito inizialmente un fatto, il film fa ridere. Al cinema, intorno a me, c’erano persone che non hanno smesso di sghignazzare un minuto, a partire dal “tratto da una storia falsa” iniziale. E quasi lo stesso potrei dire di me, se non che, a un certo punto, ho iniziato a chiedermi quale fosse il messaggio di tutto questo. Si può ridere delle macchiette spassose, dei giochi di parole esilaranti, dei qui pro quo ma è impossibile guardare il film dicendo “non mi riguarda”.


La mia domanda non era vana. Un messaggio profondo ce l’ha. Il poliedrico Maccio ci fa ridere di noi stessi. Delle nostre ipocrisie, degli integralisti della cultura alta, del veganismo e dell’ambientalismo, quanto dei lascivi, sconsiderati e pseudo umanoidi personaggi televisivi in una galleria di mostri contemporanei e di quotidiane nefandezze. La trama, che potete benissimo capire guardando il trailer, senza che questo però vi rovini il colpo di scena conclusivo, è basata quindi sulla bipolarità totale tra i due protagonisti.




Impegno civile e ambientale da una parte, menefreghismo, ignoranza, sfrenatezza e sesso mania allucinante dall’altra. L’alter ego buzzurro, creato quasi per errore con una pillola che abbassa le capacità intellettive, diventerà poi arma per il raggiungimento di più alti scopi, perché «tra il dire e il fare c’è di mezzo il male». La duplicità di Giulio Verme, presto fuori controllo, si ricongiungerà in una sintesi che NON porta semplicemente lo spettatore alla morale della “virtù che sta nel mezzo”.

Non si può parlare di semplice lieto fine, di ritorno a una normalità. La riunificazione delle due metà darà come risultato una persona che unisce tra loro opposti inconciliabili senza porsi questioni: «ho capito che esistono i compromessi, che niente è negativo e basta. Cioè, ad esempio, ho capito che si può essere vegani e mangiare il porco fritto, che si può fare beneficenza e nello stesso tempo scialacquarsi i soldi a donnacce, che si può condurre una vita sana e drogarsi molto, che si può essere impegnati socialmente e politicamente e nello stesso tempo fregarsene di tutto... finché siamo in Italia».


Insomma, tra il Giulio Verme che si eccitava sentendo “protocollo di Kyoto” e che non voleva avere figli per non pesare sull’ecosistema e quello che pensava solo a “scopare”, troviamo noi stessi, definiti dal “copulare” finale.